SONDRIO – Giorni di ricordo, di dolore, di paura che possa riaccadere. Trentasette anni sono passati, ma quando arriva il momento dell’anniversario, il tempo sembra azzerarsi e la tragedia come fosse appena accaduta. Per i valtellinesi le ultime settimane di luglio fanno riportare alla mente l’alluvione in Valtellina del 1987, che si abbatté con forza sul territorio martoriandolo con esondazioni, allagamenti, smottamenti, persone sfollate e, soprattutto, persone che non riuscirono a salvarsi.
Emblema di questa catastrofe la frana che la mattina del 28 luglio si staccò dal Monte Zandila, a 3.066 metri di quota, che, arrivando a valle, cancellò i paesi di Sant’Antonio Morignone e Aquilone, in Valdisotto. Un boato spaventoso, un boato di 40 milioni di metri cubi di roccia e terra, un boato che segnò la morte di sette operai e alcuni abitanti.
Drammatico il bilancio alla fine dell’emergenza: 53 morti, 341 abitazioni distrutte (1.545 quelle danneggiate), 23mila sfollati. Danni ingentissimi, materiali ma soprattutto umani e morali, ferite che si riaccendono ogni volta, come se fosse ieri, nei giorni tra il 18 e 28 luglio. E con il rischio idrogeologico tutt’altro che debellato, questa tragedia rimane un grande monito per tutti.
“Un pensiero a tutte le vittime di questo evento catastrofico e ancora grazie alle innumerevoli persone che prestarono soccorso a chi perse tutto”, ha dichiarato Massimo Sertori, assessore agli Enti locali, Montagna, Risorse energetiche, Utilizzo risorsa idrica che, come tutti i valtellinesi, è rimasto profondamente segnato da questa calamità.